Corpo Italiano di Soccorso dell'Ordine di Malta (CISOM)

CISOM

Il CISOM (Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta) rappresenta una eccellenza nel panorama del volontariato locale. Gli instancabili componenti che operano a Siracusa, si distinguono per abnegazione e spirito di servizio.

Si occupano di assistenza sanitaria, protezione civile, missioni umanitarie nazionali e internazionali, portando aiuto alle popolazioni colpite da conflitti o povertà.

L’impegno dei volontari CISOM a Siracusa si estende ben oltre le emergenze e le calamità naturali. La loro dedizione si manifesta quotidianamente in numerosi ambiti, offrendo un supporto prezioso alla cittadinanza.

Tra le attività del CISOM a Siracusa ricordiamo, ad esempio, il contributo prestato durante le rappresentazioni classiche: l’assistenza che offrono alle persone disabili garantisce loro di godere appieno degli spettacoli al Teatro Greco.

Inoltre, in occasione di eventi religiosi come, ad esempio, le processioni della Madonna delle Lacrime e i festeggiamenti di Santa Lucia, i volontari del CISOM si adoperano per garantire la sicurezza e il benessere dei pellegrini e dei fedeli, fornendo assistenza e supporto a chi ne ha bisogno.

Questi sono solo alcuni esempi del prezioso contributo che il CISOM offre alla comunità siracusana.

Conosco bene il loro costante impegno perché anche io ho fatto parte del gruppo alcuni anni fa.

𝑈𝑛’𝑒𝑠𝑝𝑒𝑟𝑖𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑖 𝑐𝑟𝑒𝑠𝑐𝑖𝑡𝑎 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒

Degli anni trascorsi come volontaria CISOM ho sempre caro il ricordo dell’attività di volontariato prestata in occasione del terremoto in Abruzzo.

Non ero mai stata in missione in una zona colpita da sisma e non avevo mai operato in una situazione d’emergenza.

Siamo partiti da Siracusa il 14 Aprile di quindici anni fa, con destinazione il campo di Poggio di Roio.

Dopo aver visto, durante il tragitto, decine di case distrutte, la tendopoli che si presentò davanti ai nostri occhi, mi fece ancora più paura; quelle tende azzurre, tutte uguali, marchiate dal Ministero dell’Interno, erano le nuove case di tanta gente che, in pochi minuti, aveva perso tutto.

Mi sentivo un po’ spaesata, quando il canto religioso di un gruppo scout catturò la mia attenzione: in una tenda si stava per celebrare messa. Mi sedetti accanto ad alcune vecchine e finalmente diedi sfogo alle mie lacrime, fino a quel momento soffocate.

La santa messa veniva celebrata tutti i giorni, ma non sempre ho potuto prenderne parte per via delle molteplici attività da svolgere.

Per una settimana ci siamo occupati di mettere in ordine i magazzini e organizzare la raccolta e la distribuzione della merce che arrivava giornalmente. A fine lavoro raggiungevamo il resto del gruppo che faceva servizio al corpo di guardia e ci alternavamo per andare a cenare in mensa.

La notte si dormiva poco e il freddo lo sentivamo entrare nelle ossa.

Anche la mensa, nonostante gli arrivi continui dei soccorsi umanitari,

era inadeguata alle esigenze.

Le docce, insufficienti per il numero gran numero dei presenti, erogavano acqua sempre più fredda.

Cercavamo di non pesare molto, vista la situazione già abbastanza difficile; in una settimana ricordo di aver fatto la doccia solo due volte, una con acqua tiepida, l’altra con acqua fredda, per il resto utilizzavamo una bacinella, che riempivamo all’occorrenza, e tante salviettine profumate per coprire i cattivi odori.

Quella settimana, così come aveva avuto un inizio, ebbe anche una fine. Era giunto il momento di tornare a casa, nelle nostre calde abitazioni, al nostro quotidiano lavoro, ai nostri amici, alle nostre famiglie. Lasciavamo lì tante persone che non potevano partire e che avrebbero dovuto convivere col freddo e la pioggia ancora per chissà quanto tempo, nelle loro nuove case blu, aspettando di poter ricominciare.

Ho dimenticato di salutare tante persone: nonna Maria, la grande camminatrice del paese con la quale ci eravamo ripromesse di percorrere la via mariana. Lei ci avrebbe fatto da guida … ma non c’è stato il tempo di fare alcun tour turistico.

Non c’è stato tempo di salutare la famiglia della “tenda G” che ci aveva invitati la sera prima a “casa” loro per un ultimo brindisi di saluto.

Mentre stiamo per salire sul camper scorgiamo don Osman, il prete del paese, anch’egli ospite nella tendopoli. Gli andiamo incontro per un’ultimo, affrettato, saluto. Nel viaggio di ritorno, sul traghetto che da Napoli ci conduceva a Reggio Calabria, finalmente è stato possibile fare una doccia con l’acqua calda. Ricordo la gioia nel riscoprire la mia femminilità, truccandomi e profumando un corpo pulito. Poi mi tornarono in mente le persone che avevamo lasciato e le lacrime bagnarono nuovamente il mio viso.

Di quel periodo, ricordo il lavoro di squadra e lo spirito di solidarietà che ci ha unito e che, penso, sia lo stesso che continua ad unire tutti i gruppi di volontariato.

ℳ𝒶𝓇𝒾𝓁ℯ𝓃𝒶

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