Tenace avversario di suor Chiara fu il vicario generale, Giovanni Musumeci che, sin dal primo momento della sua nomina (febbraio 1930), avanzò notevoli dubbi sulla effettiva bontà delle pratiche religiose della suora. A lui si debbono tutte le iniziative tese a confutare la provenienza divina delle stimmate e la veridicità dei messaggi ricevuti dalla religiosa durante le estasi da Gesù e dalla Madonna. Di questi eventi prodigiosi egli venne informato direttamente da p. Uccello che, ritenendo opportuno mettere a conoscenza dei fatti l’arcivescovo, invitò, altresì, il vicario generale «a fare per conto suo quegli esperimenti, che ritenesse utili o necessari per avere la certezza che i fatti soprannaturali, o creduti tali, venissero veramente da Dio».
Per volere dell’arcivescovo Carabelli fu chiamato un medico più per scoprire l’inganno che per accertare i fatti. Suor Chiara subì molti supplizi; fu umiliata, incompresa, accusata ingiustamente. Le fu anche negata la vicinanza del suo direttore spirituale negli ultimi istanti della sua vita. Pochi giorni prima che ella morisse il vicario Musumeci inviò una nota di diffida a tutti i parroci dell’arcidiocesi di Siracusa e un comunicato ad un noto giornale locale in cui si definì suor Chiara «[...] una donna affetta da mania ascetica [...] che conduceva una vita in mezzo a volontarie privazioni [...] chiamata dal popolino “monaca santa”».
Nello stesso comunicato si parlava di una “rigorosa inchiesta” eseguita per accertare la fondatezza dei dati, condotta con “somma serietà” a seguito della quale era stata inoltrato l’atto di diffida ai parroci per l’infondatezza dei fatti soprannaturali a lei attribuiti; inoltre, le si addebitò di non essere suora, non essendo appartenuta essa ad alcun monastero o casa religiosa, e non stretta da alcun voto accettato dalla chiesa. A quest’articolo, seguirà quello di risposta del padre di suor Chiara che, nella lettera-diffida inviata al giornale, dopo aver fatto riferimento ai voti espressi dalla figlia e debitamente documentati, terminò dicendo:
«Non teniamo conto dei fatti straordinari di mia figlia se ci siano stati, ci bastano le virtù».